DECRETO CURA ITALIA E CREDITO DI IMPOSTA SULL'AFFITTO: L’AGENZIA DELLE ENTRATE SI INVENTA PURE LE NORME SULLA SUA APPLICAZIONE.

Con la circolare 8/e del 03 aprile 2020 apprendiamo che i documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate assumono carattere di Fonte primaria del diritto, al pari delle leggi del Parlamento. La svolta sul piano giuridico la si ha con l’interpretazione sul credito di imposta per le locazioni previste dall’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosidetto "Decreto Cura Italia".

FONTI PRIMARIE DEL DIRITTO

Andiamo con ordine, però, e rinfreschiamo la memoria su quali sono le Fonti del diritto, nozione che si apprende durante la prima lezione di diritto del primo anno dell’Istituto Tecnico Commerciale. Le fonti sono quattro: Fonti Costituzionali, Fonti Primarie, Fonti Secondarie e Fonti terziarie. Le Fonti Costituzionali, come dice il nome stesso, sono costituite dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, e dagli statuti regionali delle Regione a Statuto Speciale. Le fonti primarie sono quelle emanate dagli organi costituzionali che hanno funzione legislativa: leggi del Parlamento, leggi regionali, decreti legge e legislativi. Le Fonti secondarie sono le sentenze degli organi giurisdizionali, tipo quelle della Cassazione. Infine le Fonti terziarie sono gli usi e le consuetudini locali. Hanno un ordine gerarchico, cioè quella che sta sotto non può annullare quella che sta sopra. Quindi, una sentenza della Cassazione, per quanto autorevole, non può modificare il senso di una Legge emanata dal Parlamento. Quest’ultima non può modificare la Costituzione italiana o essere in contrasto con questa. E così via via per tutte le altre.  Le circolari dell’Agenzia delle Entrate, a questo punto, dove stanno? Senza essere fini giuristi, sulla base di quanto detto, dovrebbero essere considerate fonti terziarie, cioè al pari degli usi e delle consuetudini. Vero è che se dessimo retta ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate le loro circolari sono almeno da considerare quali Fonti Primarie, al pari della Leggi del Parlamento, ma sospetto che in alcuni casi qualcuno le ritenga pure Fonti di rango costituzionale, soprattutto quando si prendono la briga di modificare il principio di presunzione di innocenza, vedi gli accertamenti sulla ristretta base sociale. Altra storia, però, che esula da quanto stiamo dicendo.
 

CREDITO DI IMPOSTA SUGLI AFFITTI DI BOTTEGHE E NEGOZI

Fatto questo breve ripasso, riprendiamo da dove siamo partiti e cioè l’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 il quale dice, testualmente, che “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da  COVID-19,  ai soggetti esercenti attività d'impresa è riconosciuto, per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”. Francamente devo ammettere che, in tutti questi anni di frequentazione delle norme tributarie, e non solo di quelle, quello appena citato mi pare un testo abbastanza chiaro. Ma nel mio campo c’è sempre qualcuno che, anche di fronte alle cose chiare, pratica l’arte del dubbio, come novello San Tommaso, senza prenderle per come sono scritte e incomincia a fare domande inutili. Tipo: “ma posso avere il credito di imposta anche nel caso di affitto di un capannone?”. No, non si può, perché c’è scritto “immobile rientrante nella categoria catastale C/1”, altrimenti ci sarebbe stata una dicitura più ampia, come ad esempio “immobili commerciali”. Oppure anche: “ho diritto al credito di imposta anche in caso di affitto d’azienda?”. Anche qui, ovviamente no, perché si parla di canone di locazione di immobili. Però la più bella di tutte è questa: “se io non ho pagato l’affitto di marzo ho diritto ad avere lo stesso il credito di imposta?”. Queste domande sono riportate anche sulla stampa qualificata, la quale sollecita le risposte con la solenne affermazione “è necessario attendersi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate”. Quindi, se un chiarimento lo sollecitiamo poi qualcuno si sente in diritto di darlo e non è detto che sia a favore del contribuente, anzi spesso succede il contrario. Ciò è avvenuto anche per la questione del credito di imposta per i canoni di locazione di cui si diceva all’inizio. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il credito di imposta spetta solo per i negozi (categoria catastale C/1) e che questo credito non spetta se non è stato pagato il canone di affitto. La risposta alla domanda che non era da fare è questa: “Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo”. Quindi la stessa Agenzia ammette che la disposizione è generica e si riferisce al 60% del canone di locazione, però secondo il suo autorevole parere, avendo questa agevolazione la finalità di ristorare il conduttore dal costo sostenuto del canone, il credito spetta se il canone è stato pagato. Peccato che la legge non dice nulla in merito al pagamento e, quindi, se non dice nulla vuol dire proprio questo: non vi è alcun limite rispetto al suo percepimento. Altrimenti lo avrebbe esplicitato chiaramente. Se poi il Fisco vuole dare un’altra interpretazione, lo può fare ma pur sempre di interpretazione si tratta e, per la gerarchia delle Fonti vista prima, non essendo di derivazione nè giurisprudenziale e nemmeno normativa, lascia il tempo che trova.

LA CORTE DI CASSAZIONE E L'INTERPRETAZIONE DELLE NORME. 

Tra l’altro, questa mania di fornire chiarimenti a leggi che non lo richiedono, ha trovato pure il biasimo della Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 29162 del 12/11/2019, tira le orecchie all’Agenzia delle Entrate dicendo che “nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma si come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquista un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicchè il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del teso da interpretare”. Cari miei funzionari del Fisco, sembrano dire i Giudici della Cassazione, le norme si interpretano quando non sono chiare perché, altrimenti, si può arrivare a conclusioni che non sono nella volontà del legislatore.

IL CREDITO DI IMPOSTA SPETTA ANCHE SE NON SI E' PAGATO IL CANONE. 

In conclusione, siccome non c’è scritto da nessuna parte il contrario, il credito di imposta per gli affitti previsti dal Decreto Cura Italia si può avere anche se il canone non è stato pagato. Finito lì. Come dovrebbero finire lì anche molti miei colleghi, anche autorevoli, che fanno domande che non servono o quelle, peggio, che troverebbero risposta facendo ricorso a quel minimo di conoscenza del diritto che anche noi ragionieri di provincia dovremmo teoricamente avere.  

 

 

 

 

 

 

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