Cooperative sociali: reperibilità in struttura è orario di lavoro

L’obbligo per il lavoratore di una cooperativa sociale di svolgere dei turni di pernottamento presso la struttura in cui opera, anche se non effettua in quel momento degli interventi di assistenza, deve essere considerato come orario di lavoro. Come tale va adeguatamente remunerato, anche se non deve essere trattato come lavoro straordinario. Questo interessante, e per certi versi dirompente, principio è contenuto nella sentenza della Cassazione Civile, sezione Lavoro, numero 10653 del 05 febbraio 2025 e pubblicata il 23 aprile 2025.
Il caso che gli Ermellini sono stati chiamati a giudicare riguarda un lavoratore di una cooperativa sociale che ha svolto un servizio di reperibilità notturna per tre notti alla settimana immediatamente al termine del turno di lavoro serale e per il quale non gli è stato riconosciuto l’indennità come lavoro straordinario.

CCNL Cooperative sociali e reperibilità in struttura.

L’art. 57 del Contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali prevede che nelle strutture residenziali continuative (case di cura, ospizi, comunità terapeutiche) al lavoratore al quale viene richiesta una reperibilità con obbligo di presenza nella struttura viene riconosciuta una indennità fissa mensile lorda di euro 77,47. Nel caso in cui, poi, la reperibilità si tramuti in intervento lavorativo vero e proprio, per le ore effettivamente lavorate gli viene riconosciuto lo stipendio ordinariamente previsto per la sua mansione al quale va aggiunta la maggiorazione notturna prevista dal Contratto nazionale. 

La sentenza della Cassazione sulla reperibilità in struttura. 

Nel giudicare la controversia la Corte di Cassazione si richiama ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea con le sentenze C-303/98 e C-151/02 nelle quali si afferma che i periodi di reperibilità, anche senza obbligo di presenza sul luogo di lavoro, sono qualificati come “orario di lavoro”. A maggior ragione, dunque, osservano i Giudici, vanno trattati come tali i casi in cui alla reperibilità si accompagna pure l’obbligo per il lavoratore della permanenza obbligatoria sul luogo di lavoro stesso. 
Gli Ermellini osservano, inoltre, che la definizione di “orario di lavoro”, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è in antitesi con il concetto di “riposo” e le due nozioni si escludono a vicenda. Se poi alla reperibilità si aggiunge anche un obbligo di presenza al di fuori della propria dimora, conclude la Cassazione, inevitabilmente viene compressa per il lavoratore la gestione del proprio tempo, che non può essere più considerato come “tempo libero”.
Il tutto, però, con una importante osservazione di fondo: il fatto di considerare la reperibilità notturna in struttura come “orario di lavoro” non implica che questo debba essere necessariamente retribuito come lavoro straordinario notturno. Di contro però non si può nemmeno considerarlo come tempo libero del lavoratore e, di conseguenza, pagarlo in maniera forfettaria su base mensile e con importi non certo congrui al tempo sacrificato dal lavoratore stesso. 

Conclusione.

La Cassazione, però, ritiene che la quantificazione della corretta remunerazione per la reperibilità in struttura non sia compito suo, ma che competa al Giudice di merito. Al quale, nel rinviare la decisione, impone la prescrizione di tenere in considerazione il principio espresso dall’art. 36 della Costituzione, quello che prevede che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. 

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