Un accertamento definitivo è annullabile in autotutela solo se viola un rilevante interesse pubblico.

Un accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione può essere annullato, a seguito di istanza di autotutela, solo se lo stesso contiene vizi tali da violare principi ed interessi che vanno oltre a quelli diretti del contribuente stesso.
La decisione nasce dal caso di un contribuente al quale sono stati notificati quattro avvisi di accertamenti, per i quali non sono stati proposti tempestivi ricorsi. Solo a seguito della notifica delle relative cartelle di pagamento, il contribuente si è attivato e ha presentato delle istanze di annullamento in autotutela, che sono state rigettate dall'Ufficio. Contro questo rifiuto è stato presentato ricorso dall'interessato. Entrambi i gradi di giudizio tributario hanno dato torto al contribuente il quale, a questo punto, si è rivolto alla Corte di Cassazione per vedere riconosciute le proprie ragioni. Tra i motivi di ricorso vi è, tra l'altro, quello riguardante la violazione del principio costituzionale della capacità contributiva. Secondo il contribuente, infatti, il mancato annullamento in autotutela dell’accertamento non impugnato fa produrre a questo degli effetti che sono ritenuti in violazione del principio costituzionale della capacità contributiva.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso del contribuente, rimanda nel preambolo alla sentenza n. 181 del 13.07.2017 della Corte Costituzionale, la quale stabilische che l’atto di annullamento in autotutela è un atto discrezionale della Pubblica Amministrazione e “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente”. Nel valutare l’annullamento di un atto amministrativo, aggiunge la Consulta, occorre valutare anche “altri interessi” fra i quali vi è anche “quello della stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico” che sarebbero inevitabilmente compromessi a seguito dell’annullamento di un atto che è diventato definitivo. La Corte Costituzionale ritiene che l’interesse pubblico è quello di far prevalere la certezza che un atto tributario diventa definitivo se non impugnato, piuttosto che far prevalere il principio che l’atto si può comunque sempre, e a prescindere, annullare.
Sulla base di questo principio, la Corte di Cassazione, richiamandosi anche a precedenti pronunce, ribadisce che un diniego di autotutela può essere impugnato soltanto di fronte ad eventuali profili di illegittimità di rifiuto che compromettono, in maniera rilevante, degli interessi generali. Certamente lamentarsi di generici vizi dell’atto divenuto definitivo non rientra tra i motivi di annullamento di un avviso di accertamento definitivo. Il contribuente “deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non contestare la fondatezza della pretesa tributaria”, che è diventata definitiva a seguito di mancata impugnazione.
Poco spazio concede la Cassazione anche alla questione della presunta violazione, a prescindere, della capacità contributiva: non è ammesso l’annullamento in autotutela di un atto basandosi solamente su un’asserita tassazione non conforme che viola, ancorchè definitiva, il principio di capacità contributiva. In questo caso l'annullamento andrebbe a tutelare un interesse specifico del soggetto che ha richiesto tale annullamento e non, invece, un più generale principio di corretta applicazione dei dettami costituzionali in materia di imposte.  

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