La vendita di un fabbricato che viene successivamente demolito non genera mai plusvalenza come area fabbricabile.

In materia di imposta sui redditi, la vendita di un fabbricato che viene poi successivamente demolito dall’acquirente, non può mai essere riqualificata come cessione di terreno edificabile e, di conseguenza, la plusvalenza non può formare oggetto di tassazione se realizzata dopo cinque anni dall’acquisto del bene oggetto di vendita, nemmeno se sul terreno può essere costruita una volumetria aggiuntiva rispetto a quella effettivamente edificata.
Così si è espressa la Corte di Cassazione, con sentenza n. 30346 del 13.10.2023 pubblicata il 31.10.2023, sull’annosa questione che vede l’Agenzia delle Entrate riqualificare gli atti di cessione di fabbricati poi demoliti in atti di cessione di terreni edificabili, cosicchè da richiedere le imposte sulle plusvalenze ben oltre i cinque anni dal loro acquisto.
Un caso ormai da manuale, che evidenzia il tentativo del Fisco di recuperare imposte anche dove queste non ci sono. In quello oggetto di decisione vede protagonista un contribuente destinatario di un avviso di accertamento in quanto ha provveduto a vendere un fabbricato sul quale era già stato rilasciato un Piano di recupero da parte del Comune che prevedeva anche un aumento di cubatura rispetto a quella già edificata. La commissione tributaria di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente, mentre quella di secondo grado lo ha rigettato dando ragione all’Agenzia delle Entrate. Quasi surreale la tesi espressa dai giudici di secondo grado nell’accogliere la tesi dell’Ufficio: “ragionando diversamente, si potrebbe verificare che il titolare di una grande area edificabile potrebbe avere l’accortezza di edificarvi un pollaietto per poi fingere, cinque anni dopo, di vendere il suddetto pollaio, sia pure allo scopo implicito di fare utilizzare tutta la volumetria potenziale dell’area, ovviamente previa demolizione dell’ormai inutile pollaio”.
La Suprema Corte interviene e ripristina la superiorità del diritto rispetto ai pollaietti. Lo fa richiamando sue sentenze passate (la 1674/2018) per ribadire che nel nostro ordinamento sono soggette a tassazione separata le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria e non anche i terreni sui quali sono edificati dei fabbricati. Questo criterio vale anche se si è già presentata una domanda di concessione edilizia, in quanto l’articolo 81 del Tuir, che si ricorda governa la tassazione in caso di cessione di aree edificabili, si ispira al principio che oggetto di tassazione è la destinazione edificatoria del terreno e non l’attività che il proprietario o il possessore successivamente pongono in essere su di esso.
In merito, poi, al fatto che sul terreno si possa costruire una volumetria maggiore rispetto a quella esistente, la Cassazione osserva che nel nostro ordinamento esiste l’alternativa fra edificato e non edificato, e non è ammesso che l’Agenzia delle Entrate crei una terza categoria, formata da quei fabbricati suscettibili di aumento di volumetria. La cessione di un edificio di questa specie, scrivono i Giudici della Suprema Corte, “non può essere riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste, essendo inibito all’Ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni”.

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