Corte di Cassazione: la compensazione delle spese di lite tributaria deve essere adeguatamente motivata. Il caso della Camera di Commercio di Roma.

Si dovrebbe essere seri e limitarsi a commentare una sentenza della Cassazione che riguarda la sempre irrisolta questione della compensazione delle spese di lite. Un commento fatto senza farsi distrarre dal merito della causa. Rimanere concentrati esclusivamente sui principi di diritto che la Suprema Corte esprime. Purtroppo in questo caso tutto questo è assai difficile. Sì, perché al di la del merito giuridico, ciò che irrita è il fatto che in contenzioso nasce a seguito dell’ennesima situazione di inefficienza in cui versa la Pubblica Amministrazione. Con l’aggiunta per di più che pure una Commissione Tributaria di Primo Grado ci aggiunge del suo, ad aggravare la questione.
L’oggetto del contendere è questo: un contribuente propone ricorso contro alcuni avvisi emanati dalla Camera di Commercio di Roma. Nei motivi di ricorso si evidenzia l’intervenuta prescrizione di quanto richiesto dall’ente pubblico. Valore della lite: 1.114,75 euro. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma gli dà ragione e, oltre ad annullare la pretesa, condanna la Camera di Commercio di Roma alle spese di lite, che determina in euro 250,00.  A questo punto la questione pare chiusa qui, anche se stupisce un po’ il fatto che la Camera di Commercio di Roma probabilmente sapeva già di suo che gli avvisi potevano essere prescritti. Ma tant’è, lasciamo il beneficio del dubbio.
Invece, purtroppo, la questione non è chiusa qui. L’avvocato che ha difeso il contribuente vittorioso, in sede di primo giudizio, si è dichiarato “antistatario”, cioè ha assistito il proprio cliente senza aver riscosso gli onorari e anticipando le spese del giudizio. In questo modo può chiedere direttamente alla parte soccombente, nella fattispecie la Camera di Commercio, di vedersi pagato il suo onorario. Cosa che puntualmente fa. In cambio non ottiene nessuna risposta. La Camera di Commercio di Roma, condannata al pagamento delle spese di lite, non risponde e non versa quanto dovuto. Di fronte a questo silenzio, all’avvocato non resta altro che proporre ricorso di ottemperanza ai sensi dell’art. 70 e ss. del D. Lgs. 546/1992, per chiedere alla Camera di Commercio di Roma di pagare le spese legali del precedente giudizio.
In prossimità dell’udienza, l’Ente si costituisce producendo la contabile del pagamento delle spese di giudizio della causa dove è risultato soccombente. Solo che il pagamento è avvenuto in data successiva all’instaurazione del giudizio di ottemperanza. In pratica un Ente pubblico, solo di fronte alla minaccia di un nuovo giudizio negativo, provvede al pagamento di quanto dovuto in base a una sentenza precedente.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, di fronte al pagamento della Camera di Commercio di Roma, non può fare altro che dichiarare estinto il giudizio di ottemperanza, perché è avvenuto il pagamento per il quale si è prodotto il ricorso. Solo che al momento di stabilire a chi accollare le spese del giudizio di ottemperanza, invece di condannare ulteriormente la Camera di Commercio di Roma a rifondere anche queste spese, le compensa! Quindi ci troviamo di fronte al fatto che l’avvocato difensore del contribuente vittorioso del primo giudizio, per essere pagato, deve far nuovamente causa alla Camera di Commercio di Roma la quale si è guardata bene dal pagare tempestivamente le spese a cui è stata condannata. Le spese di questo nuovo giudizio, secondo i giudici tributari, sono a suo carico. Dimenticavo: il valore della lite del giudizio di ottemperanza è pari ad euro 364,78! Quindi l’avvocato ne riscuote 250 euro dalla Camera di Commercio di Roma ma per farlo ne deve pagare 364,78 al suo difensore. Per far rispettare un suo diritto ci ha rimesso 114,78 euro. Alla faccia del buon funzionamento della Pubblica Amministrazione. A questo punto l’avvocato del contribuente propone, giustamente si aggiunge, ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere un pronunciamento di legittimità sulla compensazione delle spese del giudizio di ottemperanza fatta dalla Commissione di Primo Grado.
Arriviamo, quindi, al principio di diritto contenuto nella sentenza n. 9037/2024 pubblicata in data 04.04.2024. Il principio che la Cassazione stabilisce è molto semplice. La sua base giuridica è contenuta nella sentenza n. 77 del 02 aprile 2018 della Corte Costituzionale, nella quale si dichiara illegittimo l’art. 92 secondo comma del Cod. Proc. Civile, nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente oppure per intero le spese di giudizio. Ciò anche nei casi in cui la compensazione sarebbe logica in presenza di gravi ed eccezionali motivi diversi da quelli tipizzati dalle norme. Nello specifico i casi tipizzati dalle norme sono quelli di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o di mutamento di opinione della giurisprudenza. Gli Ermellini scrivono che, quando non ricorrono i casi di compensazione previsti per legge, il Giudice deve sempre indicare i motivi alla base della compensazione delle spese legali: “La compensazione delle spese di lite allorchè concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche”.
Nel caso di specie la Commissione Tributaria Provinciale di Roma non ha motivato le ragioni alla base della compensazione delle spese. Per cui la Cassazione non può far altro che cassare la sentenza e rinviare il tutto al Giudice di Primo Grado che deve rifare il giudizio indicando, questa volta, i motivi per i quali trova applicazione l’eventuale nuova compensazione delle spese.
Il commento alla sentenza potrebbe finire qui, con una piccola chiosa finale rispetto all’obbligo che ha il Giudice Tributario di indicare i motivi alla base della compensazione delle spese di lite.
Non è giusto, però, finire così. Si deve osservare anche la situazione di sperpero di denaro e risorse pubbliche fatto da un Ente pubblico. Già in partenza ci si poteva accorgere che gli atti erano viziati da prescrizione e non emanarli. Come si diceva, però, si può lasciare alla Camera di Commercio il beneficio del dubbio. La Commissione Tributaria di Primo grado ha però ristabilito correttamente la giustizia, sia annullando gli atti, sia sanzionando l’Ente attraverso il pagamento delle spese.  E’ il giudizio successivo che dimostra la scarsa efficienza dell’Ente pubblico. La sua inattività rispetto alla richiesta di pagamento delle spese di giudizio, ha portato a dover iniziare un nuovo contenzioso al quale hanno lavorato tre giudici, i segretari delle Commissioni Tributari, un funzionario della stessa Camera di Commercio e poi ancora, la Cassazione, i funzionari della Cassazione, tutto il personale amministrativo. Tutti pagati con soldi pubblici. Ma non è finita qui, perché adesso dovrà di nuovo lavorare la Commissione Tributaria Provinciale di Roma per adeguarsi alla prescrizione impostagli dalla Corte di Cassazione. Il tutto perché la Camera di Commercio di Roma non ha voluto pagare spontaneamente la somma impostagli da un Giudice Tributario pari ad euro 250,00.
Il Fisco italiano non sta bene, ma anche la Pubblica Amministrazione non è di sicuro messa meglio.

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